Ultimamente, si parla spesso del funnel marketing, ma che cos’è esattamente? È un modello di marketing incentrato sul comportamento e sul processo decisionale del consumatore. Questo processo, può e deve essere guidato ed influenzato affinché il funnel marketing possa considerarsi efficace. Letteralmente la parola funnel significa: imbuto. La strategia di marketing è quindi strutturata “ad imbuto”, perché il suo scopo è quello di filtrare e portare ad un naturale restringimento degli utenti coinvolti lasciando però in una prima fase, ampio spazio di scelta a buyer personas. Il funnel, segue sempre gli stessi step cambiando però le azioni in base all’utente e al mercato coinvolto.
Step nel Funnel Marketing
Il Funnel Marketing presenta degli step generali, comuni a tutti i tipi di azioni. Questi sono: Awareness, Interest, Desire e Action. In italiano rispettivamente: consapevolezza, interesse, decisione e azione. Questi passaggi sono pensati e ideati tenendo ben presenti le necessità degli utenti e con l’obiettivo finale della conversione da utenti a clienti.
Old model steps
Awareness: in questa prima fase, l’utente è passivamente esposto a contenuti, non è del tutto consapevole.
Interest: Una volta entrato in una fase di valutazione, l’utente tenderà a valutare più brand o contenuti in relazione ad uno specifico argomento. Per questo motivo, dobbiamo differenziarci dai nostri competitor il più possibile.
Desire: l’utente si inquadra perfettamente nel “target consumer” quindi è opportuno consolidare la sua scelta per un determinato brand attraverso demo gratuite, consigli etc.
Conversion: per quanto riguarda questo step, la parte più importante è riuscire ad offrire al cliente la miglior esperienza
old model funnel marketing steps
Questi step però, risultano a volte troppo generici e non tengono conto della nuova realtà digitale, ma anche di fattori come la facilità di reperire informazioni rispetto ai prodotti dei competitor. Per questo motivo, esiste anche una versione ‘aggiornata’ del funnel, che prevede degli step anche dopo la conversione (che era considerata essere l’atto finale della old strategy).
New model steps
Il nuovo digital funnel marketing prevede l’inserimento di un ulteriore step nella parte superiore del funnel (pre-conversione) che è:
Problem Identification: questo step, divide in due il concetto di “awareness” con una parte riferita al brand e al prodotto / servizio che viene offerto, e una parte di identificazione del problema riferita quindi all’utente.
Per quanto riguarda la fase di post-conversione, la nuova versione del funnel introduce i seguenti step:
Retention: che si rifà al bisogno di mantenere il cliente sempre attivo, e la necessità di creare una relazione duratura e profittevole. Si avvia quindi un nuovo ciclo di nurturing.
Expansion: una fase in cui si devono effettuare azioni up-sell e cross-sell tramite offerte dedicate, sconti etc.. Lo scopo di questo step è quello di invogliare il cliente all’acquisto di prodotti correlati.
Advocacy: si crea un loop con il cliente, che torna ad acquistare. Il cliente diventa Brand Advocate, consigliando il brand e i prodotti ad altri utenti, avviando nuovi processi di conversione.
new model funnel marketing steps
L’obiettivo di questo tipo di strategia di marketing, è quello di attrarre più clienti possibili nella fase iniziale e aumentare così la percentuale di utenti che si trasformano in clienti tramite un filtraggio attraverso gli step dell’imbuto.
L’importanza degli eventi nella promozione turistica
Esiste una forte relazione tra eventie territorio: i loro effetti hanno ricadute in termini di flussi economici, turistici e sulle infrastrutture.
Nell’articolo seguente si dimostrerà l’importanza degli eventi nella promozione turistica.
Un grande evento è: “Un evento importante, organizzato una o più volte, di durata limitata, il quale serve ad accrescere la consapevolezza, l’immagine e l’economia di una meta turistica a breve e/o lungo termine” – J.R. Brent Ritchie.
Partendo dalla definizione di grande evento del professor Ritchie del 1984, si può dire quindi che un evento può essere definito tale se ha una valenza economica, sociale e culturale, i cui effetti si protraggono a lungo. Un evento, inoltre, coinvolge molteplici attori diversi tra loro.
Gli eventi sono un prodotto strategico per un territorio.
L’importanza degli eventi nella promozione turistica può avere diverse finalità.
In termini di marketing turistico, i principali benefici riguardano l’incremento di arrivi e partenze di visitatori nuovi ed abituali. Gli eventi favoriscono inoltre l’aumento della spesa turistica e contribuiscono a lanciare sul mercato una destinazione. L’offerta di eventi, associata alla manovra di altre leve del marketing, può produrre diversi effetti sui livelli di stagionalità della domanda. Tra questi, l’allungamento della stagione turistica, la creazione di una nuova stagione e la destagionalizzazione della domanda. Un evento aumenta l’occupazione alberghiera e promuove la città. Un grande evento, per essere tale, deve attirare migliaia di persone, che per la destinazione rappresentano dei potenziali futuri turisti. Durante gli eventi poi, si possono organizzare delle attività per condurre gli ospiti alla scoperta della destinazione e del territorio circostante.
In termini di marketing territoriale, si può collegare all’organizzazione di un grande evento il miglioramento e la riconversione dell’immagine di una località.
Più la destinazione è scelta come base per diversi eventi, più il suo valore aumenterà.
CASE STUDY: VAL DI SOLE
La Val di Sole è stata protagonista di eventi di livello internazionale, tra cui la Coppa del Mondo e i Campionati Mondiali di Mountain Bike e Trials. Dopo il grande successo dell’edizione 2018, la Val di Sole ospiterà il percorso triennale che condurrà ai Campionati del Mondo di Mountain Bike nel 2021.
Da anni la Val di Sole è l’unica tappa italiana della Coppa del Mondo: per questo molti appassionati di MTB all’estero associano l’Italia alla valle.
Eventi internazionali così importanti hanno un forte impatto sul territorio in termini economici e di valorizzazione, garantendo alla valle una pubblicità durante tutto l’anno.
Nel 2019 la Val di Sole ha ospitato anche una tappa del Giro d’Italia. Il Giro è una vetrina di prestigio e anche questo ha contribuito ad accrescere la conoscenza di questa destinazione turistica.
CASE STUDY: CORTINA D’AMPEZZO
Nello scenario nazionale ed internazionale Cortina d’Ampezzo è sempre stata conosciuta come paradiso degli sport invernali. Questa popolarità è dovuta soprattutto al successo dei Giochi Olimpici Invernali del 1956. Inoltre, per molti anni è stata anche il palcoscenico della vita mondana e glamour, scelta come meta di vacanza da attori e persone famose.
Tutto questo ha avuto un impatto in termini di immagine sulla località e ha fatto sì che Cortina diventasse una meta conosciuta e desiderata.
Nell’ultimo periodo, la destinazione ha acquisito importanza nelle scelte dei turisti stranieri, grazie anche all’effetto dei mondiali di sci che si svolgeranno nel 2021.
In termini di marketing urbano, infine, un evento porta al miglioramento dei servizi pubblici, alla creazione di determinate infrastrutture e ad una rivitalizzazione urbana generale. Queste all’inizio possono considerarsi funzionali ad assicurare il successo di un evento, ma successivamente possono diventare fattori di miglioramento della qualità della vita nella località.
L’importanza degli eventi nella promozione turistica dunque, riguarda l’economia di una località, il turismo, l’ambiente e le persone. Infatti, possono attrarre target ampi e diversi oltre a coinvolgere la comunità locale attraverso le attività organizzate, con la possibilità di rafforzare le tradizioni.
CASE STUDY: LONDRA 2012
Il progetto del Parco Olimpico di Londra era ambizioso non solo per i Giochi, ma soprattutto per la rigenerazione urbana.
Il Parco Olimpico è stato eretto nell’East End, l’area più povera e disagiata della capitale, con l’obiettivo di rivitalizzarla. Diecimila abitazioni sono state ricavate dal Villaggio Olimpico e l’intera zona è stata aperta al pubblico trasformata in parco urbano con centri commerciali e uffici. Il piano ha reso possibile l’aumento dei posti di lavoro per la popolazione locale.
CASE STUDY: RIO 2016
In occasione dei Giochi Olimpici di Rio 2016, l’investimento totale è stato di 11 miliardi di dollari. Per ciascun real investito in impianti sportivi, altri 5 sono stati utilizzati in progetti per la città, rimanendo in eredità per i residenti e turisti.
Gli investimenti sono stati fatti soprattutto in strutture aeroportuali, mobilità urbana, segnaletica per il turismo e preparazione del personale. Molte aree degradate sono state rilanciate attraverso progetti di recupero urbano portando non solo i mezzi del trasporto pubblico, ma anche opere di pregio culturale. In generale, si tratta del più grande progetto di riqualificazione di tutto il Paese.
Sempre in termini di sostenibilità, i Giochi hanno visto un miglioramento delle infrastrutture della città. Ad esempio un’illuminazione più efficiente negli spazi pubblici e progetti di ristrutturazione, come la conversione dei luoghi delle Olimpiadi in scuole e strutture pubbliche.
Tutto questo ha apportato benefici al popolo brasiliano nel medio e lungo periodo.
Gli esempi riportati sopra di Rio e Londra dimostrano quanto un evento, soprattutto un grande evento, possa portare benefici al territorio in termini urbanistici. Questi vanno oltre il periodo di durata della manifestazione e hanno effetti positivi sia sulla popolazione locale che sui futuri turisti della località.
Tutto il territorio ottiene benefici dall’organizzazione di un evento.
In conclusione si può dire che a beneficiare dell’organizzazione di un evento in una destinazione turistica non è solo l’operatore diretto, ma tutto il territorio. Si parla quindi di ristoranti e hotel per esempio, che, oltre a lavorare maggiormente, potranno cogliere l’occasione anche per migliorare le proprie infrastrutture.
Oltre all’aspetto materiale, che è quello economico, è fondamentale, durante l’organizzazione di un evento, considerare l’aspetto immateriale. Si tratta della percezione che i partecipanti avranno della destinazione turistica. L’immagine complessiva della destinazione è fondamentale per essere scelta come meta futura dagli stessi e da consigliare ad altri.
CASE STUDY: GIOCHI OLIMPICI DI BARCELLONA DEL 1992
L’ultimo esempio a sostegno di quanto sia importante l’immagine complessiva di una destinazione dopo un grande evento, è il caso Barcellona.
Riconosciuta in tutto il mondo come una delle città più belle e sviluppate, Barcellona è stata da subito un esempio. Guadagnò infatti nel 1991 il premio per il miglior disegno urbano della Harvard University. Oggi si parla di “Modello Barcellona” per ricordare i Giochi del 1992 per evidenziare un esempio positivo e di successo. Attraverso l’attivazione di tutte le risorse territoriali disponibili, ha realizzato appunto una riqualificazione urbana con ritorni benefici per la città.
I Giochi si sono rivelati una calamita per il turismo nazionale ed internazionale ed hanno accelerato il processo di miglioramento della città e dell’intera Spagna.
Studiare i comportamenti di acquisto con il NEUROMARKETING
Siamo coscienti di come il nostro cervello elabora le decisioni di acquisto? Perché compriamo una cosa invece che un’altra e cosa influenza le nostre scelte?
Martin Lindstrom si sforza di rispondere a queste e a molte altre domande relative ai comportamenti di acquisto, attraverso uno studio, durato tre anni è costato più di sette milioni di dollari, che è diventato un vero caso nel settore.
Il primo a creare il binomio marketing e scienza, un abbinamento che mancava nel novero degli strumenti a disposizione della comunicazione rinominato neuromarketing o buyology nella sua denominazione originale.
Uno strumento a disposizione di consulenti ed esperti di tutto il mondo, basato sull’applicazione di macchinari all’avanguardia quale la fMRI (functional Magnetic Resonance Imaging) e volto a tracciare in maniera scientifica l’effetto di immagini, spot ed emozioni sul cervello umano.
I risultati dello studio di Lindstrom, che ha coinvolto più di 2000 volontari, in realtà non spostano solamente un po’ più in alto l’asticella delle conoscenze ma sottopongono ad una rigida indagine anche quanto fatto finora dai guru di settore, le pubblicità più costose e impattanti e le strategie di product placement dei brand più rinomati.
Quello che ne esce è un’analisi lucida sui comportamenti di acquisto e supportata da evidenze scientifiche, inconfutabile e valida oltre gli assunti del marketing del III millennio.
Un piccolo gioiello narrativo che cambierà molte delle vostre certezze.
Ma perché la gente acquista secondo Martin Lindstrom?
1. Il potere delle emozioni
Come disse John Wanamaker all’inizio del secolo scorso:
“metà del mio budget in pubblicità è sprecata. Il problema è che non so di quale metà si tratti”
Il punto è proprio questo: capire come agisce il cervello e provare a decodificarlo per comprendere al meglio ciò che muove la mente dei consumatori e i loro comportamenti di acquisto.
Nello studio di Lindstrom, l’equipe va alla ricerca delle reazioni che il consumatore prova una volta sottoposto a diverse tipologie di pubblicità, approfondite capitolo per capitolo, che spaziano dal semplice messaggio subliminale, all’unione vista-olfatto, all’unione vista-udito, allo stimolo di desideri sessuali.
Più in generale l’autore indaga in maniera scientifica quali sono le reali emozioni che i volontari facenti parte del panel provano e che, inconsapevolmente, non sanno di aver provato.
Molto di quello che succede nel cervello infatti è emozionale, non cognitivo.
2. Product placement e narrazione
Per far funzionare al meglio una strategia di product placement è necessario integrare il prodotto nella narrazione, non è sufficiente garantire al brand qualche passaggio.
3. Neuroni specchio e messaggi subliminali
I neuroni specchio sono neuroni che si attivano quando si compie un’azione e anche quando si osserva la medesima azione compiuta da altri. I neuroni specchio sono i responsabili dell’empatia umana ma hanno un ruolo fondamentale sui comportamenti e decisione di acquisto.
4. I loghi non funzionano più
E’ il logo la massima espressione del brand di un’azienda? Ha più efficacia un messaggio neutrale o un messaggio brandizzato?
Alla prima domanda l’autore risponde con un sonoro no, citando esempi clamorosi di applicazioni no branded che riescono a richiamare in maniera ancora più nitida il consumatore all’acquisto, alla seconda domanda la risposta è ancora più lapidaria: una volta che il logo scompare, il cervello non è più in allerta, e risponde in maniera subconscia all’immagine che vede.
Tradotto.. una comunicazione che riporta il logo dell’azienda prima del messaggio comunica all’utente qualcosa del tipo: “attento che questa è una pubblicità”. Senza il logo invece il cervello non ha difese e si beve d’un fiato il messaggio.
5. Rituali e magia
Nei primi anni 90 la birra Guinness stava perdendo enormi fette di mercato. Il motivo? La gente non aveva tempo di aspettare la lunga preparazione che la spinatura di questo tipo di birra richiedeva.
La situazione stava volgendo al peggio ed era necessario agire perché diversamente il marchio sarebbe stato affossato da tutto ciò che era rapido e bevibile all’istante. Fu così che la Guinness trasformò questa inevitabile seccatura in un vantaggio: ne nacque un vero e proprio racconto.
Questo percorso di comunicazione, che verrà presentato in uno degli spot più importanti:
“Le cose buone sono per chi sa aspettare”
ha reso parte dall’esperienza quel modo di versare la birra, un rito al quale oggi nessuno rinuncerebbe.
I rituali ci aiutano a stabilire collegamenti emotivi con le marche e con i prodotti, rendendo memorabili le cose che compriamo.
6. Religioni e brand
All’équipe di studio è stato fin da subito chiaro che l’esperienza d’acquisto, qualunque essa sia, impatta in maniera molto profonda sul cervello.
Esiste una sostanziale differenza tra l’impatto sul cervello che produce un’intensa fede religiosa da quello che produce un brand?
Anche qui l’autore fa un esempio molto significativo.
Ricordate la vostra prima iscrizione a Gmail? Personalmente non solo mi ricordo la prima iscrizione, ma mi ricordo anche chi mi invitò ed il luogo dove feci il mio primo accesso.
Gmail può sicuramente definirsi una religione virtuale, almeno nella sua fase iniziale ovvero in quel periodo in cui gli utenti erano meno di 10 milioni e per avere un account Gmail era necessario che qualcuno ti invitasse ad accedere la piattaforma.
Tutto questo dimostra che quanto più un brand riesce a coltivare il mistero, l’intrigo e dare un tocco di misticismo tanto più è probabile che ci affascini.
7. Utilizzare tutti e 5 i sensi
Lindstrom dimostra che le immagini sono più efficaci quando sono combinate con dei suoni e dei profumi.
La creazione sapiente di queste combinazioni è alla base del successo di molti prodotti.
La nostra stessa vita è fatta di associazioni, siano esse positive o negative: dal profumo dell’erba appena tagliata nel prato di casa, all’odore del Play Doh con il quale si giocava da bambini.
Quando prendiamo decisioni in merito a un acquisto il nostro cervello passa in rassegna fatti, emozioni e ricordi e prende decisioni rapidissime secondo una sorta di scorciatoia che ha un nome preciso: marcatore somatico.
Contando sull’esperienza costruita nel nostro passato i marcatori somatici aiutano il cervello a ridurre il campo delle possibilità e prendere decisioni che inconsciamente sappiamo essere le migliori. O le meno dolorose.
8. Vendere ai nostri sensi
In questo capitolo l’autore spiega come olfatto e udito sono sostanzialmente più potenti della stessa vista e che insieme costituiscono una esperienza emotiva, che gli esperti di marketing hanno ribattezzato Sensory Branding.
Qualche esempio? Vi è mai capitato di entrare in un McDonald con l’idea di acquistare un’insalatina leggera e, convinti dal profumo, dirottare su un Big Mac?
Quel profumo di griglia fumante misto a cose buone in realtà non è che uno spray che viene fatto circolare nei condotti di aerazione per stimolare il nostro cervello.
Questo è uno dei motivi per cui, ad esempio, piadinerie, pizzerie e forni sono posizionati nei pressi degli ingressi dei centri commerciali.
Il motivo è molto semplice: quel profumo caratteristico di prodotti freschi da forno, che ben posizionato diventa il primo profumo che sentiamo entrando nel centro commerciale, ci dà la sensazione che anche i prodotti confezionati che troveremo al supermercato siano freschi e contribuisce al nostro desiderio di acquistarli.
9. Cervello e onestà
Le ricerche di Lindstrom, oltre a scombinare i principi ai quali fino a ieri eravamo abituati, dimostrano un concetto ancor più sensazionale: le ricerche di marketing tradizionali composte da sondaggi, interviste e coinvolgimento di panel con i quali interagire in maniera cosciente sulle dinamiche d’acquisto, non rappresenta la realtà di ciò che i membri di quegli stessi panel farebbero in privato qualora si trovassero effettivamente ad acquistare.
Nella sostanza
quello che le persone dicono ed il modo in cui sentono sono spesso ai poli opposti
Questa dinamica è dimostrabile solamente valutando le reazioni cerebrali e confrontandole con la risposta consapevole dei volontari.
10. Il sesso nella pubblicità
L’utilizzo del sesso nella pubblicità ha effetti positivi? A quanto pare non più…
Il sesso alimenta il sesso ovvero l’utilizzo di immagini ad esplicito sfondo sessuale stimola nel consumatore solamente impulsi dello stesso tipo senza collegare l’immagine al prodotto di cui dovrebbe essere testimonial.
Paradossalmente a quanto pare sono più efficaci prodotti che sono promossi attraverso immagini e simboli di ‘amore’ piuttosto che di ‘sesso’.
Lindstrom conclude che il sesso ha esaurito il suo abbrivio, caratterizzato in passato da anticonformismo e novità ma che oggi, essendo abusato in ogni sua forma non produce più quella persuasione sul consumatore che lo caratterizzò agli esordi.
Brand new day
È proprio necessario trarre delle conclusioni in merito ai comportamenti di acquisto? È sicuramente necessario leggere il libro, che riporta concetti e case history molto dettagliati e che possono essere la base per l’impostazione di campagne di marketing efficaci o quanto meno consapevoli.
Come ha già spiegato lo stesso autore, spesso il successo o il fallimento di una campagna pubblicitaria è prevalentemente una questione di fortuna.
Oggi abbiamo gli strumenti per contenere gli effetti del caso ed agire in maniera più scientifica, creare esperienze d’acquisto autentiche, coinvolgendo i cinque sensi o creando narrazione, stimolando il senso d’appartenenza o più semplicemente attribuendo un valore alle cose che ci proponiamo di promuovere.
Quando trasformiamo qualcosa in un brand, oltre ad aumentarne il valore, diamo la possibilità al nostro cervello di percepirla come speciale. E questo è l’essenza della comunicazione.
Lindstrom M. Neuromarketing. Attività cerebrale e comportamenti d’acquisto. Apogeo Education, 2009, 228 pag.
Dieci semplici leggi per sottrarre l’ovvio e aggiungere significato
Creativo di livello internazionale, informatico e graphic designer John Maeda raccoglie in “Le leggi della semplicità” l’evoluzione della sua teoria, fotografata nel 2006 ed in continua evoluzione sul suo blog lawsofsimplicity.com.
Leggi della semplicità da applicare alla ricerca, alla vita, nelle tecnologie, negli affari e nel design.
Semplificare per sottrarre l’ovvio e aggiungere significato in un mondo o momento in cui ogni aspetto non necessariamente legato al lavoro ed alla produttività suona un po’ come un privilegio.
E’ un privilegio ad esempio il tempo (terza legge), le emozioni (settima legge) o la conoscenza (quarta legge) che si aggiungono ad altre sette leggi che costituiscono i 10 principi suddivisi in tre gruppi da tre leggi ciascuno:
– dalla 1 alla 3: la semplicità di base, applicabile immediatamente al design di un prodotto o alla disposizione dell’arredamento di una stanza.
– dalla 4 alla 6: la semplicità intermedia, più difficile da cogliere.
– dalla 7 alla 9: semplicità profonda, porta ad avventurarsi in riflessioni ancora da maturare.
– la 10 legge, la legge unica, riassume tutte le altre
Oltre alle 10 leggi, John Maeda propone 3 chiavi per “schiudere” la semplicità in ambito tecnologico.
Ma quali sono le 10 leggi della semplicità di John Maeda?
Legge 1 – RIDUCI
“il modo più semplice per conseguire la semplicità è attraverso una riduzione ragionata.”
In questa legge la questione fondamentale è dove sta l’equilibrio tra quanto si può rendere semplice un sistema e quanto deve essere complesso per funzionare alla perfezione.
Il processo di riduzione Maeda lo riassume in un’unica parola: SHE (Shrink, Hide, Embody) tradotto rimpicciolisci, nascondi e incorpora che l’autore motiva con esempi chiari, un processo di evoluzione che deve comunque tener presente il principio che le parti buone possono fare grande un prodotto ma le parti ottime possono renderlo leggendario.
Legge 2 – ORGANIZZA
“l’organizzazione fa si che un sistema composto da molti elementi appaia costituito da pochi”
Anche in questo caso Maeda riassume la legge in un’unica parola: SLIP (Sort, Label, Integrate, Priorize) che tradotto suona ordinare, etichettare, integrare e stabilire delle priorità focalizzando gli elementi prioritari secondo il princicpio paretiano che, dato un sistema di dati, l’80% è gestibile ad un livello di priorità bassa e il 20% richiede il massimo.
Legge 3 – TEMPO
“i risparmi di tempo somigliano alla semplicità”
Il problema principale è scegliere come spendere il tempo di cui disponiamo magari applicando il principio della SHE visto nella Legge 1.
Maeda non dà solo spunti su come gestire il tempo, ma cerca di dare una motivazione a come lo stesso è percepito dall’utente attribuendo una particolare importanza al concetto della conoscenza come comfort ed il comfort come essenza della semplicità.
Vi è mai capitato di stare fermi ad un semaforo e vedere sul display di fronte a voi il countdown verso la luce verde?
Questo è un esempio di conoscenza che genera comfort, concetto alla base delle barre di progressione che ricordano i tempi dei primi sistemi informatici, quando cioè si dovevano gestire installazioni di ore o processi interminabili in questo caso “velocizzati” agli occhi dell’utente da una barra in avanzamento. Lento o lentissimo ma regolare.
Legge 4 – IMPARA
“La conoscenza rende tutto più semplice”
Maeda anche in questo caso sceglie come approccio all’insegnamento un processo sintetizzato nell’acronimo BRAIN, (Basics, Repeat, Avoid, Inspire, Never) ovvero:
– esponi subito i principi di base;
– ripeti spesso quello che hai detto;
– evita di creare disperazione;
– ispira citando degli esempi;
– mai dimenticare di ripetere quello che hai detto.
Alla base di questa legge vi è l’idea che i prodotti di design di maggiore successo hanno una stretta relazione con il contesto più ampio dell’apprendimento e della vita.
Un esempio? Quanto vi è difficile immaginare una scrivania, in uno studio e corredata dei principali strumenti operativi? Ci siamo mai chiesti perché la scrivania del computer si chiama desktop, il cestino ha la forma di un cestino e le cartelle sembrano i faldoni dei film americani anni 70/80?
Quanto ha inciso questo parallelismo per rendere semplice la comprensione di una macchina estremamente complessa come un PC è agli occhi di tutti.
Legge 5 – DIFFERENZE
“La semplicità e la complessità sono necessarie l’una all’altra.”
Più c’è complessità nel mercato più le cose semplici emergono e risultano evidenti, sembrerà strano ma senza la controparte della complessità non potremmo riconoscere la semplicità quando ci si palesa di fronte.
Legge 6 – CONTESTO
“Ciò che sta alla periferia della semplicità non è assolutamente periferico.”
La sesta legge sottolinea l’importanza di quel che potrebbe andare perduto durante un processo di progettazione.
Legge 7 – EMOZIONE
“Meglio emozioni in più piuttosto che in meno.”
Questo concetto vale sia per i rapporti umani dove l’espressione delle emozioni non è più vista come una debolezza ma come un tratto umano desiderabile, sia per gli oggetti dove, ad esempio, l’unione di un prodotto dal design molto semplice ed essenziale con accessori opzionali personalizzabili permette all’utente di esprimere le proprie sensazioni alla ricerca del comfort e della funzionalità.
Legge 8 – FIDUCIA
“Noi crediamo nella semplicità”
Credere nella semplicità significa credere, ad esempio, nella capacità delle macchine di essere empatiche nei nostri confronti, nel tempo ci siamo abituati ad avere risultati della ricerca di Google sempre più fedeli o suggerimenti Amazon sugli acquisti che sembrano fatti apposta per noi.
Maggiore è la conoscenza del sistema sul nostro conto e minore sarà lo sforzo che dovremo fare per pensare e così, il dilemma sarà trovare un equilibrio tra quanto dobbiamo sapere del sistema rispetto a quanto il sistema deve sapere di noi.
Dieci anni dopo l’UE, percependo l’avanzare del secondo sul primo, avrebbe sintetizzato il GDPR (Regolamento UE 2016/679).
Legge 9 – FALLIMENTO
“Ci sono cose che non è possibile semplificare”
La semplicità ha anche dei difetti, i principali sono questi:
sovraccarico di acronimi: SHE, SLIP, BRAIN.
cattive gestalt: nella legge 2 Maeda introduce il concetto di gestalt ovvero la capacità della mente di riempire spazi vuoti, il che giustifica l’ammissione di un’interpretazione creativa, ma questa “apertura” può essere causa di confusione se presa troppo alla lettera.
troppe leggi: per questo John Maeda ha creato la decima che le riassume tutte.
Legge 10 – L’UNICA
“Semplicità significa sottrarre l’ovvio e aggiungere il significato”
Maeda dopo aver applicato la SLIP alle sue leggi, ha compreso che molte idee ruotavano attorno a 3 tecnologie (chiavi) specifiche:
LONTANO: ”Più sembra meno: basta semplicemente spostarlo lontano, molto lontano”
APERTO: “L’apertura semplifica la complessità”
ENERGIA: “Usa di meno, ottieni di più”
Maeda in sintesi
Maeda nel capitolo 10 riassume alcuni concetti molto importanti che mi hanno colpito anche più delle leggi stesse. Una tra queste è la riflessione per cui “le migliori soluzioni nascono quando ci sono più vincoli” concetto che si affianca a quello che “l’urgenza e lo spirito creativo vanno di pari passo e l’innovazione che ne risulta è una preziosa ricompensa”.
L’autore in definitiva ci dà gli strumenti per affrontare vita, lavoro e rapporti con il piglio di chi vuole a tutti i costi semplificare ma nel farlo ci mette in guardia dall’eccedere nella semplificazione.
Proponendoci delle regole ci spiega come superarle, spende tempo ed “energie” a coniare acronimi che vede come limite alla semplificazione. Una contraddizione? No perché fa tutto parte di un approccio, ben argomentato, che insegna che “la tecnologia e la vita diventano complicate solo se lasciate che lo diventino”.
Maeda J. Le leggi della semplicità. Bruno Mondadori editore, 2006, 148 pag.
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