Studiare i comportamenti di acquisto con il NEUROMARKETING

Siamo coscienti di come il nostro cervello elabora le decisioni di acquisto? Perché compriamo una cosa invece che un’altra e cosa influenza le nostre scelte?

Martin Lindstrom si sforza di rispondere a queste e a molte altre domande relative ai comportamenti di acquisto, attraverso uno studio, durato tre anni è costato più di sette milioni di dollari, che è diventato un vero caso nel settore.

Il primo a creare il binomio marketing e scienza, un abbinamento che mancava nel novero degli strumenti a disposizione della comunicazione rinominato neuromarketing o buyology nella sua denominazione originale. 

Uno strumento a disposizione di consulenti ed esperti di tutto il mondo, basato sull’applicazione di macchinari all’avanguardia quale la fMRI (functional Magnetic Resonance Imaging) e volto a tracciare in maniera scientifica l’effetto di immagini, spot ed emozioni sul cervello umano.

I risultati dello studio di Lindstrom, che ha coinvolto più di 2000 volontari,  in realtà non spostano solamente un po’ più in alto l’asticella delle conoscenze ma sottopongono ad una rigida indagine anche quanto fatto finora dai guru di settore, le pubblicità più costose e impattanti e le strategie di product placement dei brand più rinomati.

Quello che ne esce è un’analisi lucida sui comportamenti di acquisto e supportata da evidenze scientifiche, inconfutabile e valida oltre gli assunti del marketing del III millennio.

Un piccolo gioiello narrativo che cambierà molte delle vostre certezze.

Ma perché la gente acquista secondo Martin Lindstrom?

1. Il potere delle emozioni

Come disse John Wanamaker all’inizio del secolo scorso:

“metà del mio budget in pubblicità è sprecata. Il problema è che non so di quale metà si tratti”

Il punto è proprio questo: capire come agisce il cervello e provare a decodificarlo per comprendere al meglio ciò che muove la mente dei consumatori e i loro comportamenti di acquisto.

Nello studio di Lindstrom, l’equipe va alla ricerca delle reazioni che il consumatore prova una volta sottoposto a diverse tipologie di pubblicità, approfondite capitolo per capitolo, che spaziano dal semplice messaggio subliminale, all’unione vista-olfatto, all’unione vista-udito, allo stimolo di desideri sessuali. 

Più in generale l’autore indaga in maniera scientifica quali sono le reali emozioni che i volontari facenti parte del panel provano e che, inconsapevolmente, non sanno di aver provato.

Molto di quello che succede nel cervello infatti è emozionale, non cognitivo.

2. Product placement e narrazione

Per far funzionare al meglio una strategia di product placement è necessario integrare il prodotto nella narrazione, non è sufficiente garantire al brand qualche passaggio.

3. Neuroni specchio e messaggi subliminali

I neuroni specchio sono neuroni che si attivano quando si compie un’azione e anche quando si osserva la medesima azione compiuta da altri. I neuroni specchio sono i responsabili dell’empatia umana ma hanno un ruolo fondamentale sui comportamenti e decisione di acquisto. 

4. I loghi non funzionano più

E’ il logo la massima espressione del brand di un’azienda? Ha più efficacia un messaggio neutrale o un messaggio brandizzato?

Alla prima domanda l’autore risponde con un sonoro no, citando esempi clamorosi di applicazioni no branded che riescono a richiamare in maniera ancora più nitida il consumatore all’acquisto, alla seconda domanda la risposta è ancora più lapidaria: una volta che il logo scompare, il cervello non è più in allerta, e risponde in maniera subconscia all’immagine che vede.

Tradotto.. una comunicazione che riporta il logo dell’azienda prima del messaggio comunica all’utente qualcosa del tipo: “attento che questa è una pubblicità”. Senza il logo invece il cervello non ha difese e si beve d’un fiato il messaggio.

5. Rituali e magia

Nei primi anni 90 la birra Guinness stava perdendo enormi fette di mercato. Il motivo? La gente non aveva tempo di aspettare la lunga preparazione che la spinatura di questo tipo di birra richiedeva. 

La situazione stava volgendo al peggio ed era necessario agire perché diversamente il marchio sarebbe stato affossato da tutto ciò che era rapido e bevibile all’istante. Fu così che la Guinness trasformò questa inevitabile seccatura in un vantaggio: ne nacque un vero e proprio racconto. 

Questo percorso di comunicazione, che verrà presentato in uno degli spot più importanti:

“Le cose buone sono per chi sa aspettare”

ha reso parte dall’esperienza quel modo di versare la birra, un rito al quale oggi nessuno rinuncerebbe. 

I rituali ci aiutano a stabilire collegamenti emotivi con le marche e con i prodotti, rendendo memorabili le cose che compriamo.

6. Religioni e brand

All’équipe di studio è stato fin da subito chiaro che l’esperienza d’acquisto, qualunque essa sia, impatta in maniera molto profonda sul cervello.

Esiste una sostanziale differenza tra l’impatto sul cervello che produce un’intensa fede religiosa da quello che produce un brand?

Anche qui l’autore fa un esempio molto significativo. 

Ricordate la vostra prima iscrizione a Gmail? Personalmente non solo mi ricordo la prima iscrizione, ma mi ricordo anche chi mi invitò ed il luogo dove feci il mio primo accesso. 

Gmail può sicuramente definirsi una religione virtuale, almeno nella sua fase iniziale ovvero in quel periodo in cui gli utenti erano meno di 10 milioni e per avere un account Gmail era necessario che qualcuno ti invitasse ad accedere la piattaforma.

Tutto questo dimostra che quanto più un brand riesce a coltivare il mistero, l’intrigo e dare un tocco di misticismo tanto più è probabile che ci affascini.

7. Utilizzare tutti e 5 i sensi

Lindstrom dimostra che le immagini sono più efficaci quando sono combinate con dei suoni e dei profumi.

La creazione sapiente di queste combinazioni è alla base del successo di molti prodotti.

La nostra stessa vita è fatta di associazioni, siano esse positive o negative: dal profumo dell’erba appena tagliata nel prato di casa, all’odore del Play Doh con il quale si giocava da bambini.

Quando prendiamo decisioni in merito a un acquisto il nostro cervello passa in rassegna fatti, emozioni e ricordi e prende decisioni rapidissime secondo una sorta di scorciatoia che ha un nome preciso: marcatore somatico.

Contando sull’esperienza costruita nel nostro passato i marcatori somatici aiutano il cervello a ridurre il campo delle possibilità e prendere decisioni che inconsciamente sappiamo essere le migliori. O le meno dolorose.

8. Vendere ai nostri sensi

In questo capitolo l’autore spiega come olfatto e udito sono sostanzialmente più potenti della stessa vista e che insieme costituiscono una esperienza emotiva, che gli esperti di marketing hanno ribattezzato Sensory Branding.

Qualche esempio? Vi è mai capitato di entrare in un McDonald con l’idea di acquistare un’insalatina leggera e, convinti dal profumo, dirottare su un Big Mac?

Quel profumo di griglia fumante misto a cose buone in realtà non è che uno spray che viene fatto circolare nei condotti di aerazione per stimolare il nostro cervello.

Questo è uno dei motivi per cui, ad esempio, piadinerie, pizzerie e forni sono posizionati nei pressi degli ingressi dei centri commerciali.

Il motivo è molto semplice: quel profumo caratteristico di prodotti freschi da forno, che ben posizionato diventa il primo profumo che sentiamo entrando nel centro commerciale, ci dà la sensazione che anche i prodotti confezionati che troveremo al supermercato siano freschi e contribuisce al nostro desiderio di acquistarli.

9. Cervello e onestà

Le ricerche di Lindstrom, oltre a scombinare i principi ai quali fino a ieri eravamo abituati, dimostrano un concetto ancor più sensazionale: le ricerche di marketing tradizionali composte da sondaggi, interviste e coinvolgimento di panel con i quali interagire in maniera cosciente sulle dinamiche d’acquisto, non rappresenta la realtà di ciò che i membri di quegli stessi panel farebbero in privato qualora si trovassero effettivamente ad acquistare.

Nella sostanza

quello che le persone dicono ed il modo in cui sentono sono spesso ai poli opposti

Questa dinamica è dimostrabile solamente valutando le reazioni cerebrali e confrontandole con la risposta consapevole dei volontari.

10. Il sesso nella pubblicità

L’utilizzo del sesso nella pubblicità ha effetti positivi? A quanto pare non più…

Il sesso alimenta il sesso ovvero l’utilizzo di immagini ad esplicito sfondo sessuale stimola nel consumatore solamente impulsi dello stesso tipo senza collegare l’immagine al prodotto di cui dovrebbe essere testimonial.

Paradossalmente a quanto pare sono più efficaci prodotti che sono promossi attraverso immagini e simboli di ‘amore’ piuttosto che di ‘sesso’.

Lindstrom conclude che il sesso ha esaurito il suo abbrivio, caratterizzato in passato da anticonformismo e novità ma che oggi, essendo abusato in ogni sua forma non produce più quella persuasione sul consumatore che lo caratterizzò agli esordi.

Brand new day

È proprio necessario trarre delle conclusioni in merito ai comportamenti di acquisto? È sicuramente necessario leggere il libro, che riporta concetti e case history molto dettagliati e che possono essere la base per l’impostazione di campagne di marketing efficaci o quanto meno consapevoli.

Come ha già spiegato lo stesso autore, spesso il successo o il fallimento di una campagna pubblicitaria è prevalentemente una questione di fortuna.

Oggi abbiamo gli strumenti per contenere gli effetti del caso ed agire in maniera più scientifica, creare esperienze d’acquisto autentiche, coinvolgendo i cinque sensi o creando narrazione, stimolando il senso d’appartenenza o più semplicemente attribuendo un valore alle cose che ci proponiamo di promuovere.

Quando trasformiamo qualcosa in un brand, oltre ad aumentarne il valore, diamo la possibilità al nostro cervello di percepirla come speciale. E questo è l’essenza della comunicazione.

Lindstrom M. Neuromarketing. Attività cerebrale e comportamenti d’acquisto. Apogeo Education, 2009, 228 pag.

Neuromarketing di Martin Lindstrom: come il nostro cervello elabora le decisioni di acquisto. © Alessio Migazzi - Dolomeet SrL
Neuromarketing di Martin Lindstrom: come il nostro cervello elabora le decisioni di acquisto. © Alessio Migazzi – Dolomeet SrL

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Lavorare con le LEGGI DELLA SEMPLICITÀ

Dieci semplici leggi per sottrarre l’ovvio e aggiungere significato

Creativo di livello internazionale, informatico e graphic designer John Maeda raccoglie in “Le leggi della semplicità” l’evoluzione della sua teoria, fotografata nel 2006 ed in continua evoluzione sul suo blog lawsofsimplicity.com

Leggi della semplicità da applicare alla ricerca, alla vita, nelle tecnologie, negli affari e nel design.

Semplificare per sottrarre l’ovvio e aggiungere significato in un mondo o momento in cui ogni aspetto non necessariamente legato al lavoro ed alla produttività suona un po’ come un privilegio.

E’ un privilegio ad esempio il tempo (terza legge), le emozioni (settima legge) o la conoscenza (quarta legge) che si aggiungono ad altre sette leggi che costituiscono i 10 principi suddivisi in tre gruppi da tre leggi ciascuno:

– dalla 1 alla 3: la semplicità di base, applicabile immediatamente al design di un prodotto o alla disposizione dell’arredamento di una stanza.

– dalla 4 alla 6: la semplicità intermedia, più difficile da cogliere.

– dalla 7 alla 9: semplicità profonda, porta ad avventurarsi in riflessioni ancora da maturare.

– la 10 legge, la legge unica, riassume tutte le altre

Oltre alle 10 leggi, John Maeda propone 3 chiavi per “schiudere” la semplicità in ambito tecnologico.

Ma quali sono le 10 leggi della semplicità di John Maeda?

Legge 1 – RIDUCI

“il modo più semplice per conseguire la semplicità è attraverso una riduzione ragionata.”

In questa legge la questione fondamentale è dove sta l’equilibrio tra quanto si può rendere semplice un sistema e quanto deve essere complesso per funzionare alla perfezione.

Il processo di riduzione Maeda lo riassume in un’unica parola: SHE (Shrink, Hide, Embody) tradotto rimpicciolisci, nascondi e incorpora che l’autore motiva con esempi chiari, un processo di evoluzione che deve comunque tener presente il principio che le parti buone possono fare grande un prodotto ma le parti ottime possono renderlo leggendario.

Legge 2 – ORGANIZZA

“l’organizzazione fa si che un sistema composto da molti elementi appaia costituito da pochi”

Anche in questo caso Maeda riassume la legge in un’unica parola: SLIP (Sort, Label, Integrate, Priorize) che tradotto suona ordinare, etichettare, integrare e stabilire delle priorità focalizzando gli elementi prioritari secondo il princicpio paretiano che, dato un sistema di dati, l’80% è gestibile ad un livello di priorità bassa e il 20% richiede il massimo.

Legge 3 – TEMPO

“i risparmi di tempo somigliano alla semplicità”

Il problema principale è scegliere come spendere il tempo di cui disponiamo magari applicando il principio della SHE visto nella Legge 1.

Maeda non dà solo spunti su come gestire il tempo, ma cerca di dare una motivazione a come lo stesso è percepito dall’utente attribuendo una particolare importanza al concetto della conoscenza come comfort ed il comfort come essenza della semplicità.

Vi è mai capitato di stare fermi ad un semaforo e vedere sul display di fronte a voi il countdown verso la luce verde?

Questo è un esempio di conoscenza che genera comfort, concetto alla base delle barre di progressione che ricordano i tempi dei primi sistemi informatici, quando cioè si dovevano gestire installazioni di ore o processi interminabili in questo caso “velocizzati” agli occhi dell’utente da una barra in avanzamento. Lento o lentissimo ma regolare. 

Legge 4 – IMPARA

“La conoscenza rende tutto più semplice”

Maeda anche in questo caso sceglie come approccio all’insegnamento un processo sintetizzato nell’acronimo BRAIN, (Basics, Repeat, Avoid, Inspire, Never) ovvero:

– esponi subito i principi di base;

– ripeti spesso quello che hai detto;

– evita di creare disperazione;

– ispira citando degli esempi;

– mai dimenticare di ripetere quello che hai detto.

Alla base di questa legge vi è l’idea che i prodotti di design di maggiore successo hanno una stretta relazione con il contesto più ampio dell’apprendimento e della vita.

Un esempio? Quanto vi è difficile immaginare una scrivania, in uno studio e corredata dei principali strumenti operativi? Ci siamo mai chiesti perché la scrivania del computer si chiama desktop, il cestino ha la forma di un cestino e le cartelle sembrano i faldoni dei film americani anni 70/80?

Quanto ha inciso questo parallelismo per rendere semplice la comprensione di una macchina estremamente complessa come un PC è agli occhi di tutti.

Legge 5 – DIFFERENZE

“La semplicità e la complessità sono necessarie l’una all’altra.”

Più c’è complessità nel mercato più le cose semplici emergono e risultano evidenti, sembrerà strano ma senza la controparte della complessità non potremmo riconoscere la semplicità quando ci si palesa di fronte.

Legge 6 – CONTESTO

“Ciò che sta alla periferia della semplicità non è assolutamente periferico.”

La sesta legge sottolinea l’importanza di quel che potrebbe andare perduto durante un processo di progettazione.

Legge 7 – EMOZIONE

“Meglio emozioni in più piuttosto che in meno.”

Questo concetto vale sia per i rapporti umani dove l’espressione delle emozioni non è più vista come una debolezza ma come un tratto umano desiderabile, sia per gli oggetti dove, ad esempio, l’unione di un prodotto dal design molto semplice ed essenziale con accessori opzionali personalizzabili permette all’utente di esprimere le proprie sensazioni alla ricerca del comfort e della funzionalità.

Legge 8 – FIDUCIA

“Noi crediamo nella semplicità”

Credere nella semplicità significa credere, ad esempio, nella capacità delle macchine di essere empatiche nei nostri confronti, nel tempo ci siamo abituati ad avere risultati della ricerca di Google sempre più fedeli o suggerimenti Amazon sugli acquisti che sembrano fatti apposta per noi.

Maggiore è la conoscenza del sistema sul nostro conto e minore sarà lo sforzo che dovremo fare per pensare e così, il dilemma sarà trovare un equilibrio tra quanto dobbiamo sapere del sistema rispetto a quanto il sistema deve sapere di noi.

Dieci anni dopo l’UE, percependo l’avanzare del secondo sul primo, avrebbe sintetizzato il GDPR (Regolamento UE 2016/679).

Legge 9 – FALLIMENTO

“Ci sono cose che non è possibile semplificare”

La semplicità ha anche dei difetti, i principali sono questi:

  • sovraccarico di acronimi: SHE, SLIP,  BRAIN. 
  • cattive gestalt: nella legge 2 Maeda introduce il concetto di gestalt ovvero la capacità della mente di riempire spazi vuoti, il che giustifica l’ammissione di un’interpretazione creativa, ma questa “apertura” può essere causa di confusione se presa troppo alla lettera. 
  • troppe leggi: per questo John Maeda ha creato la decima che le riassume tutte.

Legge 10 – L’UNICA

“Semplicità significa sottrarre l’ovvio e aggiungere il significato”

Maeda dopo aver applicato la SLIP alle sue leggi, ha compreso che molte idee ruotavano attorno a 3 tecnologie (chiavi) specifiche:

  • LONTANO: ”Più sembra meno: basta semplicemente spostarlo lontano, molto lontano” 
  • APERTO: “L’apertura semplifica la complessità”
  • ENERGIA: “Usa di meno, ottieni di più”

Maeda in sintesi

Maeda nel capitolo 10 riassume alcuni concetti molto importanti che mi hanno colpito anche più delle leggi stesse. Una tra queste è la riflessione per cui “le migliori soluzioni nascono quando ci sono più vincoli” concetto che si affianca a quello che “l’urgenza e lo spirito creativo vanno di pari passo e l’innovazione che ne risulta è una preziosa ricompensa”. 

L’autore in definitiva ci dà gli strumenti per affrontare vita, lavoro e rapporti con il piglio di chi vuole a tutti i costi semplificare ma nel farlo ci mette in guardia dall’eccedere nella semplificazione.

Proponendoci delle regole ci spiega come superarle, spende tempo ed “energie” a coniare acronimi che vede come limite alla semplificazione. Una contraddizione? No perché fa tutto parte di un approccio, ben argomentato, che insegna che “la tecnologia e la vita diventano complicate solo se lasciate che lo diventino”.

Maeda J. Le leggi della semplicità. Bruno Mondadori editore, 2006, 148 pag.

Lavorare con le leggi della semplicità
Lavorare con le leggi della semplicità © Alessio Migazzi – Dolomeet SrL

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